domenica 20 febbraio 2011

Vacilla il controllo di Gheddafi sulla Libia


Le proteste scoppiate in Libia in seguito all’ondata di ribellione che sta travolgendo l’intero Medio Oriente si sono scontrate con la dura repressione del regime di Gheddafi; l’interrogativo è se gli scontri si propagheranno alla parte occidentale del paese.

di Olivia Ward -TheStar.com
Fonte: TheStar.com, Moammar Gadhafi’s hold on Libya slipping,
Tratto da: http://www.medarabnews.com/2011/02/19/vacilla-il-controllo-di-gheddafi-sulla-libia.


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A parte la sua bionda infermiera ucraina e le sue amazzoni guardie del corpo, quello che la maggior parte della gente sa del dittatore libico Moammar Gheddafi è che viaggia in una tenda da beduini. L’ha montata anche nella proprietà di Donald Trump a New York, nel parco dell’Eliseo e anche a Villa Borghese a Roma. Ma la tenda è un simbolo molto serio in Libia: avendo cooptato i capitribù del deserto, inviando le forze di sicurezza per tenere buone le loro comunità, e con un esercito che gli è profondamente leale, lo stravagante sessantottenne rais libico si è mantenuto al potere più a lungo di qualsiasi altro leader arabo.
Ma l’immagine inclusiva della tenda è arrivata a un punto di rottura quando sono scoppiate rivolte in quattro città, con almeno 80 manifestanti rimasti uccisi finora in scontri con le forze lealiste. Gli osservatori si chiedono quanto possa durare ancora.



Con praticamente nessun giornalista straniero in Libia, e tutti i media, tranne la televisione satellitare, gestita dallo stato, le risposte provengono principalmente da fonti locali le cui testimonianze sono difficili da verificare.
Giovedì, con un’offerta di tregua, un gruppo di manifestanti nella parte orientale del paese ha affermato che avrebbe concesso al governo tempo fino al 2 marzo per “dimostrare la sua vera dedizione alla trasparenza e alla responsabilità istituzionale”, ma non vi è stata nessuna indicazione che ciò abbia tranquillizzato gli animi.
“Non sono molto entusiasta di fronte all’eventualità che venga rovesciato Gheddafi”, dice Ronald Bruce St John, autore di sette libri sulla Libia. “Lui ha sistematicamente distrutto la società civile e ogni altra forma di organizzazione sociale eccetto la famiglia. Ma l’interrogativo più impellente è se le proteste si propagheranno al di fuori della Libia orientale, dove c’è (tradizionalmente) molta opposizione”.
A partire dal rovesciamento del re della Libia nel 1969, Gheddafi si è sforzato di camuffare una dittatura sotto le sembianze di una jamahiriya, ovvero di uno Stato popolare socialista, nel quale il potere appartiene teoricamente ai gruppi della comunità, ma in realtà proviene direttamente dall’alto.
Dopo il golpe, Gheddafi si è poi cimentato nell’indebolimento della vecchia base di potere del re nella Libia orientale. “Il principio era divide et impera”, dice l’esperto di affari libici Dirk Vandewalle del Dartmouth College. “Gheddafi ha costruito un sistema concentrico di interessi e di sostegno”.
Le proteste sono cominciate in due città in seguito all’arresto di attivisti per i diritti umani, e si sono propagate tramite i siti di social networking che hanno chiesto l’organizzazione di proteste in tutto il paese. L’uso dei cellulari e di Internet è cresciuto nella popolazione, che ha una età media di 24 anni e un tasso di alfabetizzazione dell’88%. La cacciata di altri leader arabi sotto assedio ha dato ai manifestanti il coraggio per affrontare le brutali forze di polizia.
I manifestanti chiedono la fine della repressione e della corruzione, sanzioni per le violazioni dei diritti umani, più lavoro e case per sistemare la popolazione che cresce del 2,5% ogni anno.
Gheddafi ha offerto alcune concessioni, tra cui il raddoppio dei salari per gli incarichi pubblici ed il rilascio di più di 100 persone accusate di essere militanti islamici, ma non ha mostrato aperture sui diritti umani.
“Negli ultimi quattro anni, egli ha creato uno stato sociale”, ha detto St John. Sussidi statali per i generi alimentari e per gli alloggi, e l’istruzione gratuita, hanno innalzato la qualità della vita. Ma la mancata diversificazione dell’economia dipendente dall’industria petrolifera, insieme ai ferrei controlli sulle attività economiche e sulle proprietà, danno ai giovani poche prospettive per trovare un impiego.
Per ora i manifestanti sembrano essere soprattutto giovani della Libia orientale. I 6,5 milioni di abitanti della Libia hanno un reddito medio di 12.000 dollari l’anno, ben poco rispetto ai salari dei ricchi paesi del Golfo, ma pur sempre un reddito che è cinque volte più alto di quello dell’Egitto. Il tasso di disoccupazione ufficiale si aggira attorno al 17%, ma si ritiene che nella realtà sia molto più alto.
Sebbene la tassazione sia scarsa, non superando il 15%, la corruzione è dilagante. Il pubblico impiego è stato tagliato drasticamente tre anni fa, ma sono stati creati ben pochi posti di lavoro sostitutivi. I sussidi del governo e l’esistenza di una rete di protezione sociale rendono la vita degli strati più bassi della popolazione meno dura che in molti altri paesi.
Gli oppositori islamici sono stati duramente repressi, ma rappresentano solo una piccola parte della popolazione. La principale fazione ribelle, il Gruppo Combattente Islamico Libico, ha rinunciato alla lotta armata due anni fa, ed ha rotto i legami con al-Qaeda. “I libici sono conservatori per natura, e non sono attratti l’Islam radicale”, dice St John.
Quanto alle forze di sicurezza, servizi stratificati di varia estrazione tribale sono profondamente radicati nella società, gestiscono reti di spionaggio, e devono la loro posizione a Gheddafi. Ma, afferma Vandewalle, “l’esercito ha un ruolo molto diverso rispetto all’Egitto (dove le forze armate attualmente guidano un governo di transizione). Non è un esercito professionale, ed è gestito secondo divisioni tribali in modo da annullare reciprocamente l’influenza delle sue varie componenti. Non lo vedrete alla guida di una transizione verso la democrazia”.

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